03/01/10

Ritorno al principio.

Un po' una metafora del momento che sto vivendo, dei "ritorni al principio" vari ed eventuali, possibili e impossibili. Dei miei pensieri, delle mie decisioni. Dei rischi. Non ho mai avuto le scarpe adatte ai percorsi semplici; non è una questione di piedi ma di testa.

Uno (e quell'uno sono io) decide per un percorso universitario del tutto particolare e già s'accolla un rischio. Ha delle domande a cui dare risposta,una voglia matta di capire meglio ciò che lo circonda e, a differenza di molti, nessun problema da risolvere - c'è una differenza abissale tra pensare di avere problemi da risolvere e averli e risolverli senza che in mezzo ci sia il pensiero di doverlo fare. chi ha buone orecchie intenda.

Ma il rischio è entrare in un vortice di legittimazione che spesso assilla un certo tipo di studenti (e studiosi). Soprattutto in Italia, dove abbiamo l'intelligentia più pingue, corrotta e idiota dell'emisfero occidentale. Quelle domande divennero necessariamente salottiere, viziose. Divennero domande filosofiche. Non era affatto necessario farsele e neppure cercare di dar loro risposta. Dirò di più: è stato deleterio. Certo, non credo sia lo stesso per tutti ma per me si, per una banale questione di temperamento, di carattere e di storia personale. Mi sentivo al guinzaglio, presto capirete perchè.

Ma una certa inclinazione rimane. Perde di spessore teoretico, rivolge lo sguardo a paesaggi più urbani, meno limpidi e tondeggianti di idealismi e più elettrici e umidi, di quelli che ti segnano la pelle [M.Sironi, Paesaggio.]. E' un attività di pensiero che infiamma i tendini, i muscoli, ti stanca. Bisogna relazionarsi con il mondo e il mondo è quello che è, è ciò che si vede; potere, materiale umano, incidenze, variabili, relazioni. Beh, la risposta che mi sono dato davanti a questo cortocircuito l'ho ritrovata verso la fine di un libro spettacolare e dice che

"E' tempo di concludere, partendo dalla fine per tornare all'inizio. Forse è vero che, per conquistare il potere e per conservarlo tenendo gli elettori al guinzaglio, i politici sono costretti a mentire. Forse è vero che gli elettori, mitridatizzati, finiscono con l'affezzionarsi alla menzogna come il cane è affezionato al proprio guinzaglio. Il giornalista o si rassegna al suo ruolo di guinzaglio. Oppure il guinzaglio che lega il potere ai citadini lo recide con le cesoie, riscoprendo la sua missione. Che non è quella di cambiare il mondo, e nemmeno di far vincere le elezioni a Tizio o a Caio. Ma quella di raccontare i fatti. Possibilmente tutti. Possibilmente veri. Se ppoi qualcuno deciderà di usarli per farsi un'opinione informata, per conoscere le varie strade e scegliere la migliore a occhi aperti, insomma essere libero, tanto meglio.
Forse aveva ragione Leo Longanesi: non è la libertà che manca. Mancano gli uomini liberi".

Marco Travaglio, La scomparsa dei fatti, Il Saggiatore, Milano, 2006.


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