21/06/10

Se non succhi non sale, la tua posizione nella scala sociale

"E' il lavoro che voglio fare, farei di tutto per averlo". Lavoro. Il fatto che negli ultimi mesi mi basta sentire qualcuno pronunciare questa parola per concedergli parte della mia attenzione non è un buon segno. Sono fregato. Ma questa volta è diverso. Quattro ragazze attorno ad un tavolo, abiti molto casual, sandali, borse lunghe di pezza, orecchini etnici, bracciali e collanine di perline di legno. "Ho studiato anni per fare l'interprete". Universitarie, o roba del genere. "C'è una di Trani che già lo fa, è interprete per l'ambasciata afgana a Roma. E' il mio sogno. Già mi vedo quarantenne, in tailleur, realizzata, fare quel lavoro. Mio dio è un sogno".

Un'immagine fotografica, presa magari da Vanity fair, da A, o da Chi, un'immagine su cui costruire il proprio sé: "Già mi vedo", ma lei non è sé stessa che vede, ma non lo immagina neppure. Il sé non è più quell'entità frantumata che sconvolse il pensiero del novecento. E' semplicemente demandato, annullato, scisso e proiettato in simulacri in cui riconoscersi. Te lo dicono sin da babino. Un'idea, un modello, un obbiettivo da raggiungere perché simbolo un po' reganiano di successo, perché poi c'è il confronto vinto, c'è l'eccezione raggiunta, o magari qualcosa da dire agli altri, per vantarsi, sentirsi arrivati, sentirsi realizzati (quanta paradossalità in questa epressione, realizzarsi, rendersi reali, veri e che fascino dirompente, crudo, brutale ha il fallimento).

"Eh, chissà che devi fare per entrare in un ambasciata" la mette in guardia un amica. "I pompini" replica lei, secca, come se avesse detto qualcosa di assurdo, che so, qualcosa tipo "un curriculum impeccabile". Trasecolo. "Serve fare i pompini. Ma non mi interessa, so che è così, io sono disposta a farli. E' il lavoro che desidero, chi non li farebbe. Se l'obbiettivo che vuoi raggiungere è quello perché non farlo? Ma dopo sei interprete per un'ambasciata". Forse le amiche non s'aspettavano tanta risolutezza. Qualche secondo di silenzio gelido cade sul loro tavolo, nessuna risatina, io mi sarei aspettato qualche risatina. Una di loro prova a chiedere "Stai scherzando?" e lei "No, affatto, io lo farei. Ti ho detto. E' il mio sogno fare l'interprete". Guardo la sua aria da intellettuale di sinistra, il suo maglioncino blu, i suoi addobbi etnici, i suoi capelli ricci legati dietro con uno spillettone. Ma non reggo molto.

Per qualche secondo accuso il colpo. Un fitta, qualcosa del genere. Fumo una sigaretta. Non so perché ma se da un lato ho un legittimo turbamento dalle parti della cintola dovuto alla franchezza dell'esperta in lingue, dall'altro più o meno da quelle parti comincia a prendermi un senso di nausea profonda (dovrei smetterla di avere due lati in perenne conflitto e decidere di godermi o torturarmi la vita). Sensazioni che fanno da sfondo a un pensiero che comincia a martellarmi, mi mette alle corde, mi costringe alla fuga. Siamo rassegnati a succhiare, la logica di quella emula delle sessantottine è oramai berlusconiana nel midollo, senza dignità, senza midollo, tutto è subordinato all'insignificante mentre il signicante pare destinato ad eterna latitanza. Non abbiamo scampo. E' così che ci hanno inculato. E' questo che siamo.
"Siamo", in questo plurale indigesto è il mio piccolo, sofferto, cacofonico legame con ciò che mi circonda.

6 commenti:

  1. Se ci si scrolla di dosso la morale sedimentata in decine di secoli, ci si rende conto che non c'è niente di intrinsecamente sbagliato né nell'atto sessuale né nell'atteggiamento dell'ambiziosa ragazza.
    Piuttosto sottolinerei la pochezza e l'immaturità del maschio medio che, in cambio di pochi momenti di piacere e di esercizio di potere, concede alle femmine di turno il loro ben più prezioso futuro.

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  2. Morale? Ma di che parli? Pensi che dietro ci sia una questione morale? E che sono Bersani? A me non mi frega nulla della morale, è la logica mortificante dell'arrivismo che ha indotto chi ieri parlava a quel tavolo a promettere pompini al corpo diplomatico per diventarne l'interprete. Il maschio medio risponde a logiche del cazzo (dico, proprie del cazzo) e la loro accettazione era per lei ovvia se avesse voluto arrivare dove desiderava, a quell'immagine di lei in tailleur.
    Forse il paragone è eccessivo, ma in Iran bellissime donne col velo sono lige ai dettami più assurdi del corano mortificando la propria libertà ma ottenedo in compenso posti di riguardo nella scala sociale. L'anno scorso, proprio in questi giorni, moriva Neda, ventisette anni, bellissima, uccisa dai colpi della polizia di theran. Aveva scelto di lottare contro le logiche del potere. Neda lottava per la libertà di essere se stessa, di realizzarsi per quello che era e non per quello che le dicevano di essere. E' questo che manca, è questo che fa rabbia.

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  3. Chiunque segua questo blog sa che non è una questione morale, non nell'accezione comune perlomeno. Tu però giochi a fare Catone il censore; stigmatizzi, ora come in precedenza, dei costumi che non condividi, che trovi inconcepibili, che ti fanno rabbia. E sappiamo qual è l'etimologia di "morale".
    Io sono di impostazione relativista. L'arrivismo è un male? Il metro per me è sempre e solo uno: lo è nella misura in cui si lede la libertà o il benessere di altre persone nel cammino per raggiungere i propri obiettivi. Chi sei tu per sindacare sulla validità di quegli obiettivi? Se qualcuno rispetta quei presupposti antichissimi e si trova in pace con se stesso, soddisfatto, qual è il problema? Tutti sono condizionati dal sistema esterno nelle proprie scelte.
    Persino Neda.
    Logico che il paragone con l'Iran tocchi altre corde e, in questo senso, può essere eccessivo. In Italia ci si guarda intorno e di donne e uomini come lei se ne vedono con il lanternino, per non dire di peggio - chi è disposto a sacrificare la propria vita per un qualche genere di ideale? Qui mi associo alla tua rabbia sulla rassegnazione e sull'appiattimento che imperano: la massima espressione di rivendicazione e protesta che abbiamo sono i gruppi su Facebook o i cortei del Popolo Viola, e questo la dice lunga.

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  4. No scusa, forse non mi sono spiegato ma non è una questione di obbiettivi. A me non interessano gli obbiettivi degli altri. Al massimo di metodo, nel peggiore dei casi di etica. Un conto è che una abbia come obbiettivo battere il guinnes di fellatio all'intero corpo diplomatico internazionale. Benissimo, liberissima di farlo, ti metti lì e ti fai il giro del mondo in apnea. Un altro invece è accettare di abboccare il piffero afgano nella speranza di avere un posto che magari non ti spetta, che magari sarebbe spettato ad un altro/a più brava di te (forse non come pifferaia), ma che desideri perché così ti han detto che ci si realizza - è il velinismo esteso anche a compiti intellettuali, è l'invasione di trentenni avvenenti in parlamento, è tutto ciò che viviamo da qualche anno a questa parte.

    In quel caso accetti una logica assurda, illiberale, contro ogni merito e indegna. La liberissima decisione di chi suonare l'inno afgano con l'insolito strumento consolare, lede la libertà di chi non lo ha fatto ed è stato superato da chi invece in nome della libera moralità adesso canta vittoria con la bocca impastata. La lede perché accetta un di più ricattatatorio che poco ha a che fare con i meriti richiesti al lavoro per cui ci si candida. E' questa la libertà che difendi? Questo è il relativismo? Francamente, da relativista convinto (o quasi), penso che sei un tantinello fuori strada.

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  5. Ancora non mi trovi d'accordo su giudizi del tipo "un posto (...) che desideri perché così ti han detto che ci si realizza". Il velinismo esiste, ma ribadisco che non abbiamo il diritto di entrare nel merito di una scelta di vita, soprattutto se specifichi di non essere interessato dagli obiettivi altrui. Possiamo parlare del "come" si raggiunge o del "come" si adempie il ruolo X, di cui devi rispondere agli Altri, ma non del "cosa" o del "perché" fintanto che non parliamo di obiettivi o moventi illegali, illeciti et similia.
    Mentre rispondevo nel secondo intervento, anticipavo in un angolo della mia mente le tue perplessità. Una voce flebile mi suggeriva che comprare cariche in cambio di prestazioni sessuali, in fondo, può danneggiare chi sceglie di non farlo (donne con una diversa concezione della propria dignità) o chi non è in condizione di farlo (donne senza sex appeal, uomini). Avevo scelto di ignorare quel sussurro, adducendo come motivazione "anche questo fa parte del merito della persona". Ho così penduto [sic] a favore dell'ultimo gradino del relativismo, quello a picco sul baratro della natura senza coscienza: se stessi come unica bussola, al diavolo il prossimo. Sbagliando.
    Quindi, in questi termini, convengo con te.

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  6. Ar sono rabbrividita leggendo il tuo post. Che tristezza! Adesso potrei reclamare in soccorso tutto il repertorio sulla dignità della donna, sulla donna prostituta come modello di vita, sul velinismo...ma a cosa potrebbe servire? Ormai il sesso e tutto l'annesso e connesso sono la chiave di volta, anzi di botta, per aprire le porte della realizzazione. Credo che nello smarrimento dell'epoca attuale il genere più danneggiato sia quello femminile. Si deve essere strafighe, perfette e preparate. Zoccole e Intelligenti o almeno apparentemente tali grazie a lunghi curricula di università di eccellenza. Basta vedere la Carfagna, la Toffanin e la Gregoraci, modelli per tante ragazze. Mae West diceva che le brave ragazze vanno in paradiso, mentre quelle cattive vanno dappertutto. Credo sia una proposizione alquanto vera per la situazione italiana. Il caso di cui hai parlato ne è una chiara esemplificazione. Sesso+politica=lavoro. Qualcuno potrà dire che il mondo è senpre andato in questo modo, ma forse ora va un po' troppo verso le asole fisiche, soprattutto in Italia. La donna a furia di pensare realizzarsi come soggetto è divenuta oggetto, come nei peggiori incubi delle femministe. Qual è l'apporto delle donne nel mondo del lavoro? Dal "personale è politico" si è passati al "fottere è politica del lavoro". Esistono le eccezioni, ma sono poche: donne come me insicure, depresse e inquiete.

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