08/06/10

La vittoria dei servi: Aghia Sophia

Solo se lo si vede si può capire perché ha avuto tante difficoltà ad essere distribuito, e non solo in Italia. Ma è uno dei film più validi visti ultimamente a cui va dato il merito di aver raccontato per la prima volta al grande pubblico la storia di Ipazia. Racconta l'altra faccia del cristianesimo e, più in generale, del fanatismo religioso. Racconta di un'epoca crudele, dei servi in odore di ribellione veicolati dai loro pastori di greggi, di uomini avidi di potere e senza scrupoli, di violenze reiterate a danno di chiunque non volesse sottostare ai dettami della legge, di dio, delle scritture. E' la cancrena del pensiero, è la dittatura del fanatico. A tratti quei tempi somigliano ai nostri. Noi non siamo effetto della vittoria della morale dei servi e dei deboli? Una classe politica religiosa per strizzare l'occhio alla loro volontà, la volontà dei molti, dei sempre troppo numerosi. Il sapere mortificato da editti barbari. Una religiosità ottusa, che si alimenta di ignoranza, collusa con il potere.
Ipazia non vuole rinunciare al dubbio in un'epoca in cui nessuno sa più dubitare, interrogarsi, un'epoca in cui si mettono in discussione le verità dello studio, della ragione. Ipazia non mette da parte i suoi strumenti per conoscere il mondo, per capirlo. Chi le sta intorno si domanda perché, cosa si può trovare di così importante nel capire il mondo quando ci sono in ballo cose più serie, la sua stessa vita. E' la sua solitudine del saggio, l'adagio silenico del "meglio non esser mai nati" che la studiosa pronuncia all'inizio del film, quasi a presagire la sua tremenda fine. E' la distanza da un mondo che non le corrisponde, che la soffocherà, la lapiderà, le taglierà la lingua e le caverà gli occhi. L'occhio, il vedere che fa teoria, e la parola, lo strumento che la comunica. I barbari sono alle porte, negli occhi hanno la stessa fiamma, addosso i vessilli di quanti hanno trucidato.

Qualche anno fa al Papa fu impedito di parlare alla Sapienza. Fu un grave errore, l'ho pensato allora e lo penso adesso. Nel discorso pubblicato dai giornali nei giorni seguenti si sono lette parole che avrebbero definitivamente dissipato tutti i dubbi sull'inconciliabilità di sapere e religione. Il papa avrebbe sostenuto che tutti gli sforzi dei ricercatori sono rivolti alla consacrazione dell'unica verità, quella divina. Con un'iperbole il papa si sarebbe fatto beffa del metodo scientifico, della falsificabilità di Popper, insomma di millenni di studi e di storia del pensiero. Avrebbe platealmente preso per il culo i ricercatori, gli studiosi che purtroppo si sono incazzati preventivamente non accettando che qualcuno con la verità in tasca insegnasse loro alcunché. Questo però avrebbe messo il papa e i suoi studiosi con le spalle al muro, avrebbe permesso all'università di dare la parola a chi con quel discorso si auto bandiva dalla comunità scientifica. Ma tant'è... [Bruegel, La cacciata degli angeli ribelli, 1562]

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