19/01/11

il terzo occhio

Un occhio discreto al di là della gabbiola. Un occhio a cui non sfugge nulla. Puoi anche non accorgertene ma calcola le tue mosse, le entrate e le uscite, i tuoi orari e i tuoi ospiti. Le tue abitudini, anche quelle sessuali. Un meccanismo di controllo poco invasivo ma di assoluta precisione. Viola senza illecito la tua privacy e, all’occorrenza, te ne dà conto.

La portinaia sta al palazzo in cui vivi come il secondino sta al carcere nel panopticon di Bentham. Lei ti controlla e tu non te ne accorgi. Aggira l’opinione comune e stabilisce una relazione perfetta tra la tua abitazione e una cella carceraria.

È da ingenui credere che si sia liberi in casa propria. A maggior ragione se c’è una portinaia all’ingresso del portone. Magari non vede dentro le quattro mura domestiche, ma è abile nell’intuire cosa vi succede. Ha una conoscenza rigorosa del traffico di individui in quella costruzione di mattoni forati e cemento. È il suo ruolo. Un ruolo di controllo. Garanzia d’ordine, decoro e giustizia. I suoi report seguono leggi e regolamenti quasi mai scritti ma capaci di ricalcare perfettamente l’opinione dei coinquilini del palazzo. E i report sono giornalieri, prendono la forma di una chiacchierata con la signora del primo o del terzo piano, che a sua volta parla con la dirimpettaia, uno scambio costante di informazioni che si arrampicano come graminacee raggiungendo tutti i campanelli, tutti gli zerbini del condominio. “Un gay avrebbe qualche difficoltà a vivere qui dentro”. Una frase detta quasi per scherzo a cena da una mia coinquilina, assidua frequentatrice del pian terreno. Era uno dei miei primi giorni a Milano. Si parlava della “Patty”, la proprietaria dell’occhio al di là della gabbiola. Una frase subito smorzata, edulcorata, con cui però mi si metteva in guardia. Una frase il cui senso mi è chiaro solo ora.

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