14/03/09

B.M.S.

In volo.«Da qui Messere si domina la valle […] Ma se l’imago è scarna al vostro occhio, scendiamo a rimirarla da più in basso, e planeremo in un galoppo alato in quel cratere ove gorgoglia il tempo». Si apre con una citazione di Ariosto, Astolfo sulla luna.
Si scende nel mondo e lo si vede più dappresso. E «ciò che si vede è». Il viaggio nel mondo. Il mondo è guerra. R.I.P. Ritmi forsennati del secondo pezzo, campo di battaglia, cavalli corpi e lance rotte. La batteria di picchia durissimo, la tastiera di Nocenzi s’infuoca. Poi la guerra finisce e s’addolcisce l’aria. Il mondo è lotta, è l’insensatezza della lotta in un mondo incomprensibilmente peccaminoso. Le liriche di Di Giacomo si alzano come grido di dolore e di rassegnazione. Si esce dal palcoscenico del mondo dopo essersi spinti troppo al di là.
Frattura insanabile tra io è mondo. Si è compiuta. Adesso non si parla nel mondo, ci si astrae, ci si innalza.
Dimensione ironica, quasi lukacsiana.
Passaggio, clavicembalo. Dolce. Uno scherzo dove parte integrante è il suono dei tacchi di Nocenzi. Tanto reali quanto il loro contrario.
Metamorfosi. Si passa ad una dimensione altra, trasmigrazione. I suoni si fanno più vaghi; organo, tastiere, sint. E più crudi e diretti al contempo. La chitarra stride. Vortice sonoro a salire con leggiadria e poi la chitarra, improvvisa, dura, gracchiante riporta a terra. Il colpo è duro. E poi ancora. Stile puro prog. Si fondono insieme. Ci si prepara per l’ascesa, per il distacco. Il mondo vero sta per diventare “favola” per un atto deliberato della volontà.
«Uomo non so se io somiglio a te. Non lo so. Certo è che però non vorrei segnare i giorni miei coi tuoi. Mai!»
Dal grido a voci di lamenti. Inquiete. Siamo alle porte del Giardino del Mago. Ricordi: fanciullezza in-quiete. La ricerca del senso nel mondo stanca «passo dopo passo». La morte appaga. Il senso del mondo svela la sua insensatezza nella dimensione tragica della morte. Gli ideali dell’uomo sono crocifissi agli alberi del Giardino come gli uomini che gli hanno osservati. Un richiamo al mondo reale e la musica torna a farsi potente sulle stesse corde del lamento mortifero. È un grido di battaglia, una lotta contro il mondo. Si rivendica la necessità dell’abbandono della vita reale. Tragica, ironica, donchisciottesca. Nella morte la mente è redenta. Forse la vita stessa.«Come è strano oggi il sole. Non si fa scuro, chissà perché. Forse la sera non verrà a uccidermi ancora. […] A che serve poi la realtà?».
Il distacco è compiuto. La realtà è svelata come finzione. Il Giardino del Mago è una dimensione utopica, nel senso più alto e forse più corretto. È irrealizzabile. Non è una dimensione a venire. È fuori dal tempo nel tempo.
«Coi capelli sciolti al vento io dirigo il tempo. Il mio tempo è là negli spazi dove morte non ha domini, dove l’amore varca i confini».
La musica fin qui s’è adeguata alla dimensione del sogno, utopica, fuori dal tempo e dal mondo. Poi incalza ancora vorticosa, il sogno stesso spazzato dal ritmo incalzante del prog. Gli strumenti tornano ad infiammarsi. Uno schiaffo.
Traccia.A mio avviso sintetizza tutto l’album in 3 minuti di fuoco. Un piano va veloce, la batteria lo segue veloce, il sint, tamburi, i cori si allacciano a passi affrettati, cadenzati da un ritmo che va accelerando, sempre più su. Tecnicismo sopraffino. Il pezzo si chiude con colpi di batteria e chitarra elettrica carnali.
Il sogno è finito. Il mondo no.

ps. Non mi convince molto quello che sto per fare, ma devo a mio padre la mia riconoscenza per avermi fatto ascoltare fin da piccolissimo il Banco del Mutuo Soccorso. Con tutte le conseguenze che questo ha comportato.

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