Se qualcuno mi chiedesse un ricordo, il più intenso ricordo della mia infanzia non potrei che rispondere: Darwin!
Ero molto piccolo, quest’album mio padre lo ascoltava a iosa. Nel suo stereo Majestic quando spuntava una cassettina arancione, ero certo che prima o poi quel nastro sarebbe stato inserito e che piano, dalle casse della Peugeot 309 si sarebbe alzato un suono elettronico, lieve, un po’ inquietante. Una chitarra si sarebbe inserita a disegnare armonie celesti, sognanti, di un mondo che stava per nascermi proprio sotto i miei occhi, dentro le mie orecchie. Ricordo ancora l’emozione quando il lato A della cassetta dava il via a L’Evoluzione.
«Prova, prova a pensare un po’ diverso». Quelle parole mi erano oscure, ignoravo il loro invito a guardare le cose da un’altra prospettiva. Ma è sotto i colpi dell’evoluzione che la mia blanda formazione cattolica cominciò a vacillare, piano piano, col passare degli anni, gli insegnamenti laici delle scuole cominciarono a rendermi manifesto il senso di quelle parole. «Niente da grandi dei fu fabbricato, ma il creato si è creato da sé»: nessuno mi aveva mai detto cose simili. Avrò avuto sei, sette anni. Una maestra di scienze ci spiegava le teorie sull’origine della terra. Allora si pensava come ipotesi più plausibile che si fosse distaccata dal sole e poi raffreddata. Almeno lei la intendeva così. Ma Darwin, questo disco strepitoso, mi fece associare queste conoscenze all’impossibilità di credere che il nostro mondo sia stato fatto in sette giorni, l’uomo fatto di polvere, la costola che diventa una donna (ho creduto a lungo di avere una costola in meno di mia sorella, complesso della costola vs complesso del pene).
Il prog del banco se non ti sfonda le certezze con le liriche di Di Giacomo lo fa con la potenza della sua musica. Ho ritenuto plausibile che i rumori, i colori, i profumi del mondo in formazione fossero gli stessi presentati in quell’album. Un’atmosfera onirica e potente, il moog eleva bolle di lava che la batteria di Calderoni fa scoppiare, la chitarra di Maltese crea un vento caldo e forte, la tastiera di Nocenzi muove minuscoli corpi in uno scenario infernale, vivo, terrestre. Quando si ascolta Darwin ci si sente per la prima volta a casa, quella vera, fottutamente terrestre.
Voce esterna, Di Giacomo illustra. Apre spazi alla riflessione «E se nel fossile di un cranio atavico riscopro forme che a me somigliano, allora Adamo non può più esistere, e sette giorni soli son pochi per creare». Ma certo! «E ora ditemi se la mia genesi fu d’altri uomini o di un quadrumane»Timidamente mi si diceva che gli scienziati credevano che l’uomo derivasse dalla scimmia, ma la fede…La fede sgattaiolò fuori dalla mia coscienza. Mi misi a collezionare fossili, ogni fossile era un pezzo di Darwin. Il mondo vero ha lasciato tracce, dure e oggettive come quelle dei fossili. Darwin insegnò a me bambino a pensare un «po’ diverso».
Conquistai la posizione eretta. Mi misi sui miei piccoli piedi, ora grandi e forti, e continuo a stare in piedi. Così come la mia genesi. Gli sforzi che richiede la conquista sono sforzi epici, richiedono millenni. Ancora, musica a descriverne le vicende e la musica si fa ampia, di sforzi umani verso il sovraumano. «Potessi drizzare il collo, oltre le fronde. E tener ritto il corpo opposto al vento», è effetto anche del provare a pensare un po’ diverso. Costa fatica.
I grandi rettili danzano, leggeri, sulle note di Nocenzi. Immaginarseli è poesia.
Cento mani e cento occhi. La vita associativa come necessità per lo sviluppo di questa forma di vita intelligente che ha preso possesso del mondo. Società primitiva, forte, fata di uomini e donne forti, caccia, bocche affamate, braccia forti, selci aguzze scagliate con furore. Anche qui la musica è fortemente evocativa, ci si sente in mezzo a loro, ci si rivede in loro. Ritmo incalza, spinge, forte. Gli uomini, uniti intorno al fuoco, una società, scatole di pietra inscatolano la voglia di fuggire, «ma la voglia di fuggire non mi passerà».
L’amore, a suo modo voglia di fuga, di intimità privata e tenera. Anche 750000 anni fa…l’amore . In questo mondo così duro e reale si apre uno spiraglio al sentimento, e la musica si fa poesia.
Miserere alla storia. Un pezzo che si chiude a cerchio, ritorna, come ritornano le medesime cose, la medesima storia. «Gloria a Babele, rida la sfinge ancora per millenni. Si fabbrichi nel cielo fino a Sirio! Schiumino i cavalli sulla via lattea. Ma quanta vita ha ancora il tuo intelletto se dietro a te scompare la tua razza?». La musica incede veloce come il galoppo dei cavalli della storia. Hammond, moog, synth. Corrono senza meta. La storia si fa beffe dell’affaccendarsi umano, e la citazione biblica è solo un’icona di millenni di costruzioni babeliche, cercando un senso con il fare.
Il mondo, una ruota. Va, schiaccia ossa e volontà. Sempre velleitarie. Ed io domando tempo al tempo ed egli mi risponde…Non ne ho! Il tempo, la storia, irridono gli uomini. «Cambia i volti e non cambia niente lo sperma vecchio dei padri. Ho urlato forte la mia rabbia, ma agonizzo anch’io!». Ironica amarezza. Niente fuori dal tempo, e il tempo non fa credito. Continua a girare, come una ruota scricchiolante, vecchia e sempre nuova.
Voilà, benvenuti nel 2009!
29/03/09
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