14/02/10

Umori e tremori e il concerto come esperimento sociale


Moltheni. Bel concerto.
Certo, lui la mena pesante; le liriche spesso si chiudevano con un lamento, trascinandosi oltre il pezzo, diventando un monito per il pezzo successivo perchè questo avrebbe ripreso puntualmente con un rantolo intonato con quello che aveva appena concluso la strofa precedente. Insomma, roba pesante, un ascolto oggettivamente non facile.

Intorno a me i bicchieri di plastica cullavano lentamente la birra che scendeva difficile un po' a tutti. Stava lì a scaldarsi tra i palmi accesi e annoiati. Ma tutti sembravano contenti. Quasi divertiti dalla performance, ci si sentiva come se si stesse partecipando ad un momento per eletti, una liturgia protocristiana che può essere solo in pochi, selezionatissimi luoghi. Io sarei il nulla più fortunato della terra se la poetica di Moltheni potesse far leva seriamente su tutte le teste di cazzo che ho visto lì. Ma so che non non tutti potevano, non un così gran numero di facce note, già viste. Insomma, stasera è stata fiera delle convinzioni, delle pose e delle posizioni(cit).

Quei luoghi a me piacciono un sacco e per un sacco di motivi. Tra gli altri, il fatto che mi fanno assistere a due tre spettacoli contemporaneamente; quello per cui paghi il biglietto e quelli che invece ci puoi trovare dentro: il grottesco, il tragico, il comico, perfino il burlesque.

Insomma, il pubblico distrattamente ingoiava una litania albuminosa in posizione supina - e ad incularli era il buon senso. Io immaginavo i pensieri degli altri, sono bravo a farlo, ci azzecco quasi sempre. Capita quando uno soffre di una blanda forma di schizofrenia. Gente che conosco, gente giusta, quei tipi giusti da sciarpetta kefiahnteggiante che durante i concerti muovono sincopatamente il bacino contraccolpando con un isterico movimento delle spalle il battito della casa e del rullante. Insomma, quelli a cui un'estetica alla Moltheni deve piacere senza che possa piacere. Strano eh? Maddai, lo sapete anche voi, lo avete sempre saputo. Molti erano distratti, molti perdevano tempo a farsi le fotografie vicino al palco col cantante in bella vista invece che sentire le canzoni, molti uscivano ogni metà pezzo per poi tornare e applaudire con vigore.

Ciò che fa parte del proprio target culturale di riferimento non deve per forza piacere. Anzi, la maggior parte delle volte non piace affatto. Ma se si mostrasse insofferenza, indolenza, si rischierebbe l'esclusione. Non a tutti quelli che leggono piace la lettura, come non a tutti quelli che vanno a teatro piace andare a teatro. Così non tutti quelli che vanno ad un concerto del genere piace davvero quella musica. Ma si fa come se... e si riesce benissimo. Indossano la loro cazzo di maschera, si sparpagliano come polvere di ferro attorno al magnete rappresentato dal palcoscenico, ascoltano la musica, sono lì a stare, a darsi un tono, un'area interessata e interessante.

Negli auditorium della Roma bene durante i microintervalli di Wyshnegradky allo Spazio Off con in scena Moltheni, la maggior parte della gente si rompe i coglioni. Ma deve farlo.
Ps. Nella natura morta di Caravaggio, c'è una mela talmente perfetta da essere stata scelta da un bruco.

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