01/03/10

Un uomo di campagna si presentò davanti alla Legge...


"Penteo: Accompagnami attraverso la terra di Tebe: io sono l'unico uomo, l'unico che ha il coraggio di osare.
[...]
Dioniso: Tremendo tu sei, tremendo, e ti avvii a un tremendo dolore. Troverai una gloria che ti solleverà fino al cielo. Tendete le costre mani, Agave e voi, figlie di Cadmo, nate dallo stesso seme: porto questo ragazzo alla gara suprema. Ma io sarò il vincitore, io e Bromio. Il resto si svelerà da solo"
Euripide, Baccanti, andatevi a trovare dove.

Una tragedia che vorrebbe riaffermare la superiorità della ragion religiosa un cazzo. È la tragedia più antireligiosa che conosca di Euripide, del vecchio Euripide, che certo non era avvezzo alle conversioni in tarda età di tanti rincoglioniti in età pensionabile del nostro tempo.
È la gloria della sconfitta di Penteo, colpevole di aver voluto violare la legge degli antichi, quella che Tiresia e Cadmo gli consigliavano di rispettare.

Penteo ha avuto il coraggio di opporsi alla Legge, ha voluto contrastare Dioniso, rinchiuderlo in catene pur sapendo che si sarebbe liberato, seguirlo senza indugio verso il cammino della disfatta. Peteo sapeva che opporsi alla legge sarebbe stato inutile. Penteo il giovane sapeva e ha voluto osare. Penteo è un eroe.
È la morte del giovane, del ribelle. La Legge non si può contrastare, si riafferma, ciclica e ciclotimica. Il coro lo ha annunciato e il coro nella tragedia è il massmedia della Legge. Oggi abbiamo i Minzolini.
"Infiniti gli uomini e infinite le speranze: alcune maturano in prosperità, altre svaniscono. Ma e beato è soltanto l'uomo che vive la sua felicità giorno per giorno".

Penteo non vive la sua felicità, non vive il suo tempo, Penteo non gode, vuole lottare pur sapendo che la sconfitta sarebbe stata inevitabile. Penteo è fuori dal tempo, dalla Legge, e pagherà sulla carne la sua tracotanza. Penteo è morto dilaniato da sua madre Agave, baccante, menade del tremendo Dioniso. Evviva l'eroe Penteo.

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