27/05/09

Dall'Onda alla risacca. Breve storia dell'autunno più caldo dell'ultimo ventennio.


Avrei dovuto scrivere questo post un po' di tempo fa, ma non ne ho avuto il tempo. Forse adesso è privo di quella vis che da fragranza e incisività alla descrizione di un fatto quando è immediatamente presente alla coscienza. Ne guadagnerà forse in mediatezza e equilibrio. Forse.

L'onda non mi ha bagnato. Perché è chiaro che nell'onda ci si bagna. Pretende di bagnare, di spazzar via, ma l'onda non spazza via nulla quando è bonaccia e si rivolta su se stessa fino a placarsi sulla riva. Il nostro è tempo di bonaccia e forse lo sarà per decenni ancora. Quando le acque si increspano spesso è dovuto a fatti contingenti, piccole correnti in un piccolo golfo. Increspature, sospinte dal Noto, e poi risacca, l'inevitabile movimento cullato del ritorno, quando l'onda trova un'ostacolo che la spezza. Il Noto in autunno preannuncia sempre tempesta e sovente porta placide piogge calde.

Questa volta sembrava facesse proprio sul serio. Gonfio e arrabbiato, rosse le gote, venato il collo avvezzo alla contrazione del rabbuffo. Questa volta ci credeva anche lui, il primo vento autunnale, sospinto anche dalla memoria di quelli degli anni passati che sui giornali scrivevano di nuova stagione di lotta, di nuovo fermento.
Le facoltà di fatto fremevano. Organizzazioni politiche danzavano la pioggia dopo averne per anni dimenticato i passi, ché la pioggia era finalmente arrivata, inattesa, calda del vapore d'agosto ma capace di dissetare le gole arse.

Si inneggiava il 68. Tutti ne parlavano. "Siamo come", "se vogliamo è un po' come", "Idealmente siamo uguali a". 2008. Si sperava nei corsi e ricorsi, o qualcosa del genere.Esatti quarant'anni e ciò rinvigoriva la fiducia.
Le bancarelle di paccottiglia fuori l'Università intanto facevano affari d'oro. A ruba gli occhiali a goccia e lenti colorate, camice di lino cremisi, sacche da pane, collane a palle marroni. Cortei giallo-grigi-rossi-verdi. I capi-popolo più accorti rinfoltirono il loro guardaroba velocemente convinti che le idee sarebbero venute da sé.

Una questione d'immagine. Tutta la protesta ruotava intorno a remake di tempi passati da rinsavire. Mitologie. Forse qui qualche persona più intelligente di me può cogliere un aspetto particolare che potrebbe aver portato in breve tempo dall'onda alla risacca. Se nel 68 si guardava al futuro, si aveva un progetto, a novembre si è guardava al passato meno i suoi progetti, almeno nelle consistenti fila della protesta. Non parlo degli organizzatori, dei militanti, di quelli che danzavano la pioggia insomma, ma delle singole gocce. Era sconcertante notare che nessuno aveva bene in mente il perché e il come. Si viveva la situazione, senza troppe domande ma con un sacco di risposte. E' effetto del nostro tempo; mi è difficile immaginare una protesta seria in cui risuonano più gli i-phone che i megafoni. Simbologie, tutto qui.

Ma passata l'onda rimangono i ciottoli. E i ciottoli sono i rappresentanti degli studenti eletti nelle Università. Ne ho visti di tutti i tipi, li ho visti ammassarsi nelle assemblee, darsi spintoni, speravo in qualche zuffa o qualche sputo almeno. Mi diverte molto vedere la gente sputarsi contro.
Virgulti agitavano braccia e sedie. Si discuteva come se in ballo ci fossero i parametri della salvazione eterna: Mirafiori moderna Nicea. Per rimanere in tema, si discuteva anche di divinizzazioni e sacralità da rispettare. Metodi, decaloghi e preci.

Come nel quadro di Katsushika Hokusai, dietro l'immagine dell'onda si cela la tranquillità del resto, il monte Fuji assunto come simbolo imperturbabile del sempre medesimo. L'onda non lo smuove, il monte pare non accorgersi nemmeno del suo fragore. S'è detto, l'onda passa e rimangono i ciottoli. Questi adesso vengono posizionati nei luoghi del potere, consigli di facoltà, assemblee pletoriche e fumose, alle pendici del monte. Adesso ne fanno parte, sono sassolini della montagna. L'onda intanto si è ritirata, con qualche fronzolo da bancarella in più; paramenti liturgici di una religiosità nel tempo della morte di dio.

16 commenti:

  1. E' la fine della positività . Ci si annienta nell'ideologia e si perde di vista l'euristica propria della politica. Quale l'origine? L'indistinzione delle due dimensioni fondamentali dell'intervento politico: Fare e Dire. Penso sia questa la diade fondamentale di cui tener conto in ogni discorso avente per oggetto la politica nel suo senso più ampio. Se ogni Agire presuppone una Pensare, il Pensare-Dire non implica necessariamente un Fare (è assolutamente ovvio). Ma qual'è lo strumento dell'agire politico se non l'intervento istituzionale?
    Ebbene,ammettendo la necessità di parlare lo stesso linguaggio ai fini della comunicazione, l'Istituzione risponde all'Istituzione,il Fare si rapporta al Fare, le regole del gioco sono in questo caso ineludibili. Cercare di ostacolare un processo a cascata come quello delle istituzioni attraverso la misera fionda di slogan urlati con rancore attraverso la bocca di un megafono si mostra dunque inutile oltre che sconveniente. Sconveniente perchè è la dialettica del Potere che lo impone. Siamo tutti utili, facciamo tutti parte del gioco. A prescindere dal vincitore le regole saranno le stesse.

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  2. Proprio per venire incontro a quella che è la sensazione che mi sembra pervada il tuo post, l'allarmante constatazione che niente è mutato, partirò da qualcosa di già detto, e certamente in maniera inflazionata. Niente di nuovo sotto il sole. Come vedi, la tua, la mia, la nostra angosciata delusione non è nuova: è vecchia quanto il mondo. E allora bisogna intendersi sul cambiamento: come si misura un cambiamento? Nelle scienze positive esistono delle unità di misura. Ma nella storia, cosa è cambiamento? E' giusto o nefasto? E' casuale o segue determinati schemi? Cambiamento rispetto a cosa? Gli uomini vi prendono parte in quanto singoli o come gruppi? Non si può forse scorgere nel cambiamento l'intervento di una forza al di là dell'umano? A me sembra che sia una parola talmente vaga da includere il mondo: anche nel manifesto del politico più conservatore campeggia la parola cambiamento (ma forse il suo è il volgare ammiccamento a quell'ineludibile tendenza al mutamento che appartiene alla dimensione biografica dei singoli e che cessa appunto solo con la morte.). Ora, tu dici che l'onda studentesca non è riuscita a cambiare l'università (ma dalle tue parole sembra che ti augurassi che la sua portata fosse quella dello tsunami, e allora ben oltre la struttura accademica avrebbe dovuto infrangersi!). Dici che modello degli studenti era il mitico '68. Dici che il fallimento è stato dovuto alla cultura del nostro tempo, che è allergica al cambiamento: i poveri fanciulli in protesta non possedevano neanche l'abc della rivoluzione. L'onda in definitiva non ha bagnato nessuno, figuriamoci travolgerlo. Ecco, ammesso e non concesso che concordiamo sul significato della parola cambiamento (i nostri ideali non differiscono poi molto e con buona dose di approssimazione possiamo considerarli non troppo lontani.), devo ammettere che ti seguo solo in minima parte. No, l'obbiettivo non era cambiare le cose. Realmente gli obbiettivi dell'onda erano realistici (si mirava a fermare la cosiddetta riforma gelmini) e non mi sembra si covassero aspirazioni palingenetiche. Certamente sotto questo aspetto l'onda ha fallito. La sconfitta ci sta tutta: si lottava contro un governo molto popolare. L'obbiettivo era ragionevole, ma forse gli studenti non ne hanno capito la portata conservatrice, pieni com'erano del risentimento nei confronti di un governo considerato comunque ostile. Difendere lo status quo, a prescindere, solo perchè i cattivi provano a metterci le loro sozze mani. E questo solo uno degli aspetti preoccupanti della risacca. L'altro è proprio l'ispirarsi al mitico '68, che fu tutt'altro che mitico. Dalle tue parole, mi sembra esca questo: gli studenti hanno perso perchè si sono ispirati al '68 solo superficialmente, come a una moda, insomma tutti fashion-victim. Non voglio unirmi al coro dei revisionisti, ma quel che mi sembra evidente è che già il '68 s'ispirava a un'ideologia di seconda, se non terza o quarta, mano (e infatti finì con l'immane risacca del Riflusso). Il fatto che a quarant'anni di distanza si cerchi di scimmiottare quello che a suo tempo era scimmiottatura mi inquieta non poco. Questi quarant'anni mi paiono passati invano. Ma qui entro già nella mia visione personale, intima del cambiamento. Mai come oggi mi sembra le possibilità di cambiare ci siano eppure la cultura stenta a individuare le potenzialità del nostro tempo, incapace di creare nuovi paradigmi di cambiamento. Sono arrivato dove volevo: il cambiamento non è nelle cose, nell'essere, ma nelle menti, appartiene al dover-essere. Non c'è cambiamento senza cultura del cambiamento e la cultura di sinistra che se ne riteneva unica depositaria (tant'è che non si poteva pensare al cambiamento senza associarvi l'idea di progresso) è stata certamente e meritatamente sconfitta. Perchè ha preferito chiudersi nella contemplazione del passato, perchè è diventata reazionaria, perchè ha un odio razzistico verso il nostro tempo e per la gente, soprattutto i giovani, che lo vivono. Perchè non ha saputo essere all'altezza dei tempi.

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  3. Se già scorrere un blog con interventi più lunghi di dieci righe è insostenibile figurati leggere i lunghi commenti a chiosa. Per tanto, non mi sprecherò.

    Potevo dirlo anche in un caffè tranese e la mia presenza avrebbe dato maggior rilievo alla mia idea, fatto sta che questa Onda dice qualcosa di diverso che qui mi sembra sfugga.

    Magari l'Onda segna il declino delle figure carismatiche e dell'avvento di una nuova forma di protesta dal basso dove ognuno "fa il proprio"?

    Guardando al '68 italiano - preciso italiano - quello era un branco di pecore al seguito di quattro deliquenti che hanno sbandierato e svenduto ideali: ora quella generazione vota Berlusconi e si gode la pensione. La nostra generazione, e parlo dei nati dal 85 in poi, ha il compito di cambiare questo paese.

    L'Onda ha dimostrato due cose:

    1) Non abbiamo bisogno di leader carismatici, ognuno di noi è in grado di pensare per sé

    2) Abbiamo bisogno di organizzazione tecnica per tramutarci in un fenomeno stagionale (come giustamente il tranese fa notare). Chi doveva organizzare e dirigire il movimento è stato latitante finora.

    (conseguenza di 1 e 2) Imporre il proprio pensiero e veicolare le preoccupazioni degli altri sono due cose diverse. Brutti idioti a capo dei movimenti, imparate l'umiltà e mettetivi a lavorare.

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  4. Ponete questioni incredibilmente precise e attinenti. Spero di riuscire a dare una risposta adeguata.

    Anonimo. Io non credo che i protagonisti di queste vicende abbiano nutrito l'intenzione di cambiare le regole del gioco. Al di là delle parole urlate, sono quadri, inquadrati, pungono dagli angoli retti, inquadrano quadrilateri spuntati come nel gioco delle scatole cinesi. Conoscono molto bene le regole del gioco della politica e non aspettano altro che giocarsi la loro partita, con quelle regole e con quei premi. Io diffido da chi sta a bordo campo e scalcia rabbioso il pietrisco invidiando chi indossa la maglia numero 10.

    Alberto. Che dire, touche! Sei riuscito a leggermi anche tra le righe, capita raramente e capita non a caso. Il tuo commento mi mette in condizioni di dover fare autocritica e ammettere che ci hai visto proprio bene.
    Ammetto che ho assistito alle vicende in attesa del ri-velarsi del punto critico. Speravo aristotelicamente nella catastrofe, come momento liberatorio. Mi sarebbe piaciuto accecarmi come Edipo al riconoscimento di Giocasta. Ovvio, non ci ho mai creduto realmente (concordo in questo con la prima parte della tua analisi) ma mi sarebbe piaciuto.
    Sul 68 hai ragione, tutto qui. Ed hai ancor più ragione nell'inquietudine che accompagna il pensiero che oggi siamo difronte a scimmiottamenti di scimmiottamenti. Accetto a malincuore la critica fatta ad un certo tipo di sinistra. A malincuore perché non credevo di farne parte. Ma, come dicevo in un post precedente, sono sovente costretto a temporanei ritorni dell'uguale.

    Cacacazzo 84. Davvero dai all'onda tutto sto merito? La leadership è connaturata agli stilemi della politica. Io non ho visto questa luce di speranza. I virgulti descritti nel post spesso erano i leader delle varie fazioni, nessuno cedeva, in ballo c'è la maglia di di titolare. Non ho capito come mai punti alla generazione dall'ottantacinque in poi. Non so che abbiano di speciale. Ma la cosa positiva (?) è che in questo caso saremmo dispensati dalla fatica, e goderci la catastrofe in panciolle.

    Vi ringrazio, mi avete dato da pensare. E' cosa migliore che mi sia capitata in questi mesi di attività su sto blog.

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  5. L'Onda fu un mezzo miracolo. Ma no, non aveva nulla a che fare con qualche "nostalgia" di un '68 che era stato troppo infangato da più e più parti per essere visto come un mito da rievocare da così tanti ragazzi nati dal '90 in poi. No, il '68 non c'entra niente, è stato solo un gioco giornalistico quest'associazione.
    L'Onda, ripeto, è stata un mezzo miracolo. Ad inizio settembre sul mio blog scrivevo un post commentando lo sfascio della scuola italiana che veniva fuori da questa cosiddetta "riforma", di cui pochi sembravano accorgersi e, ero convinto, pochi si sarebbero accorti. Poi è successo qualcosa. Qualcosa che...Altro che '68. Era un prodotto di Facebook. Mi accorsi che qualcosa di inaspettato stava accadendo quando vidi che i gruppi anti-riforma crescevano ad un ritmo forsennato. Le informazioni sui VERI contenuti di quello schifo di riforma stavano girando. E non si fermavano. Il "meccanismo perfetto", quello del consenso di questo sgoverno, s'era inceppato. La gente aveva capito cosa avevano combinato, e reagiva. Sono seguiti 20 giorni in cui le strade e le piazze si sono riempite come non accadeva da tempo.
    Non poteva durare. Per una serie di ragioni. La principale: era un movimento puramente "vertenziale". Non aveva basi politiche, non aveva un'organizzazione dietro (e chi parlava di "strumentalizzazioni" ha detto una boiata micidiale), nasceva solo per un motivo: fermare il disastro (tirandosi dentro tutti quelli che erano d'accordo, a prescindere dal resto, è stata anche una sua forza, ma a lungo andare ha pesato). Una volta che il disastro era compiuto, che la "riforma" (Sic!) era approvata, lo stop era inevitabile. Allo sgoverno, in fondo, è bastato poco. Non c'entra il consenso (che peraltro in quel periodo s'era incrinato). Hanno semplicemente fatto la cosa che gli riesce meglio: tirare dritto. Fregarsene. Lì qualcosina s'è tentato, per superare l'ostacolo. Si è parlato di Referendum, s'è tentato di cambiare la natura del Movimento lavorando sulle "idee per l'autoriforma" (lavoro che ha prodotto qualcosa di splendido, delle VERE idee moderne. Che però, com'era prevedibile, hanno avuto lasciato segno ZERO), si è provato ad andare avanti nonostante tutto. Ma ormai la cosa si stava sgonfiando, com'era inevitabile.
    Però non credo che tutto questo sia stato inutile. Per tanti ragazzi è stata la prima "esperienza sul campo", un'occasione per crescere mentalmente e, in senso molto lato, "politicamente". Non ha "spazzato via" nulla. Non poteva farlo. Ha lasciato un po di linfa, poca ma buona, da qualche parte. Di più, in queste condizioni, non si poteva pretendere. Ed in ogni caso, bene avresti fatto a farti "bagnare" pure tu. Ogni lasciata è persa. E questa non so davvero perchè avremmo dovuto perderla. E' stato un movimento che ti faceva respirare. Aria pura. Fa bene, a chiunque non voglia una mente atrofizzata. E poi era una cosa giusta (a meno che non ritieni che sia invece giusto tagliare 8 miliardi di Euro alla Scuola ed 1,5 miliardi di Euro all'Università...), ed alle cose giuste si partecipa. Poi non durano? Pazienza. Anzi, a maggior ragione ci si sta.
    Politicamente, per la Sinistra, un'occasione perduta. Non eravamo in condizione di trarne vantaggi. Avessimo avuto uno straccio di soggetto politico, sarebbe stato diverso, forse. Peccato. Sono occasioni che possono non ricapitare.

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  6. Tu, com'era prevedibile, hai danzato la pioggia e a quanto pare anche adesso fai qualche passo di danza se qualcuno ti stimola.
    Io non potevo bagnarmi ale, non ne ho mai avuto intenzione. Io, ale, non credo ai miracoli.
    Cosa ho perso? Niente.
    Perché perderselo? Perché non c'era niente di imperdibile.
    Tu dai la colpa del riflusso alla mancanza di una piattaforma. E' effetto di quello che ho chiamato nel post "morte di dio" (non c'è bisogno di citare la fonte, ovviamente). Insomma, di un'idea, di un "grande racconto". Di un pensare e di un agire, riprendendo i concetti che Anonimo ha esposto poco sopra.
    L'onda non mi è piaciuta, non mi sono piaciute le assemblee, non mi sono piaciuti i giornali, non mi sono piaciuti gli archetipi umani che hanno partecipato alla pantomima (l'intellettuale, l'agitato, il fanatico etc etc) non mi è piaciuto nulla. Quindi non mi pento di essermene stato in disparte.
    Adesso come allora vedo dalla mia suite del "grande hotel affacciato sull'abisso" (Lukàcs) il disfarsi dei collettivi, il disperdersi delle persone, il ritorno alla normalità.
    Ci si è ubriacati un po', si è creduto di far parte di qualcosa da raccontare un domani. Si è andati alle manifestazioni come ai concerti, agli eventi imperdibili. Poi rimangono i gadget delle bancarelle.
    A me i pezzi degli Afterhours: "Come pararsi il culo e la coscienza è un vero sballo, sabato in barca a vela il lunedì al leoncavallo".

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  8. Domanda di non poca rilevanza. Qual'è la causa reale delle decisioni certamente lesive che hanno suscitato tutto il disappunto dell'Onda? Certo, come ha sostenuto Alberto e come effettivamente stanno le cose, il movimento si è proposto sin dall'inizio obiettivi realistici (fermare la riforma Gelmini). Ma penso sia altrettanto vera l'impossibilità di condannare l'autore di un intervento negativo senza portare al banco degli imputati lo stesso Dio che l'ha permesso. Fuor di metafora ritengo che la recente disapprovazione nei confronti del governo avrebbe dovuto mettere in luce qualcosa di più che l'avventatezza dei riformisti italiani. Avrebbe dovuto rilevare l'inefficienza delle istituzioni, della partitocrazia, del gap incolmabile tra classe dirigente e subordinata (è in questi termini che ci si dovrebbe esprimere). Il problema non è tanto nelle riforme in sè, bensì nella drammatica situazione delle istituzioni, con una sola parola: antidemocratiche. Da una parte dunque non vi sono le condizioni oggettive della comunicazione politica, dall'altra non vi sono le condizioni soggettive. Il discorso politico è infatti relegato ai momenti critici, non vi è comunicazione nè tantomeno dialogo a tutti i livelli della gerarchia statale (perchè è di gerarchia che si deve parlare). Da qui ne deriva la doppia miseria dello stato italiano: da una parte la comunicazione di istanze politiche (a tutti i livelli) è resa inoffensiva da una dialettica di attività e passività, dall'altro non si crede più nel valore della politica, della comunicazione, dello scambio di ragioni. Quest'ultima componente si manifesta ormai soltanto nelle sedi di partito ove, talvolta, a prevalere è più lo spirito di gruppo, che una ragione forte, coerente, dimostrata, realista.

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  9. Salve a tutti ragazzi sono Evelina.
    Al sedicente cacacazzo barese '84: prima dite che non volete capi carismatici e poi vi lamentate della pessima organizzazione: ma è ovvio che se nessuno prende in mano la situazione e ci mette responsabilità tutto andrà in pezzi. Se leggi da un altro punto di vista quello che hai scritto al punt 1) e 2) puoi renderti conto della patente contraddizione che vai argomentando.
    Vorrei essere estremamente breve e poco ripetitiva. Mi permetto di parlare perchè ho fatto parte dei gruppi di contestualizzazione e documentazione che a Firenze avrebbero dovuto studiare tutta la wirkungsgeschichte della riforma( dal processo di Bologna del 1988 alla Zecchino-Berlinguer). Invece ci hanno messo a fare stupidi volantini anti-gelmini.Al che ho mollato tutto e sono tornata a Plotino.
    Non voglio studiare per lavorare,non voglio essere schiava,voglio studiare per studiare. Tutto,ma davvero tutto il resto è da macchine, quello che appunto è tutta la scuola pubblica: ovvero l'impresa che si serve di macchine per fare macchine.
    'Studere' è desiderare. Io mi schiero dalla parte di nessuno, nessuno contro tutti.
    Per cui, per significarvi meglio quello che vado blaterando, vi riporto alcuni passaggi da un aforisma di Kraus (perdonami Karl):
    "(...) Una riforma liceale che si adopera per abolire l'insegnamento delle lingue morte sulla base dell'argomento che esse non sarebbero utili per la vita è ridicola. Proprio se fossero utili per la vita bisognerebbe abolirle. Perchè certamente non servono a farci trovare la strada in mezzo ai monumeti di Roma o Atene. Ma esse seminano in noi la capacità di immaginarci quei monumenti. La scuola non serve ad accumulare un sapere pratico.(...)Ciò che la scuola può fare è produrre quella vaga bruma delle cose vive da cui poi sguscia fuori un individuo.
    Chi fa bei temi diventa un commmesso. Chi li fa male, ma in compenso va bene in latino, forse potrà diventare uno scrittore.

    Mi ricorda tanto quello che disperatamente e inconsapevolmente scrivevo al gruppo di logica del prof. Floridi a Bari via mail: la mattina dopo a lezione mi beccai una strigliata incredibile, anche da parte vostra , cari studenti,inconsapevoli. C'era Giuseppe, Alessandro, Alfredo, Arcangelo, tutti a salvare le buone apparenze del cosidetto sapere.
    Un caro saluto.
    E.L.C.

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  10. Caro Anonimo, si, in parte il problema è quello che descrivi tu. Quindi la domanda che poni è legittima e davvero di non poca rilevanza (cit). Ma ad essere sincero non ho gli strumenti adatti a cercare una risposta plausibile. Alla fine io ho preso un avvenimento, l'ho reso allegoria, l'ho descritto sul duplice piano della realtà e della finzione(in questo senso si, sono un antirealista), schekerato e servito. Io insomma ho cercato di dare il via ad una discussione che in buona parte si è mostrata molto al di sopra delle mie capacità, tra le quali oramai non riesco a trovare quella di analista politico. Io, rude e pravo comunista, falciato e martellato dall'ideologia come dice Luca. E forse è vero.

    Evelì, Evelì, tu hai ragione cara. Floridi giocava sporco, giocava con le giovani menti con la stessa tecnica di Esposito e probabilmente la stessa di molti altri. Filosofia e proselitismo. Spirito di setta. Esprit de finesse vs esprit de geometrie. Insomma, devo ammettere che io da floridi mi sono lasciato obnubilare, cosa che è accaduta prima, dopo con altri, e che accadrà con altri ancora. C'est la/ma vie.
    Ricordo quando vantava la superiorità scientifica del mondo anglosassone. Io gli ricordai di Yuriy Gagarin e che forse non è sempre stato così. Pensavo di essere nel giusto, di essere equilibrato, oggettivo. Malcelatamente filosovietico. Lui mi raggelò dicendo che Gagarin nello spazio era arrivato con le molle. Risate generali. Cosa replicare allo scherno quando arriva ex cathedra?
    Bisogna avere le spalle larghe per fronteggiare chi ricopre quei ruoli. Essere attenti per essere padroni di sé stessi cantava Ferretti. Memento dell'insegnamento! Continuo ad essere miope e guardare ostinatamente dietro occhiali da sole.
    Il tuo commento è stupendo, la tua passione per Kraus è da manuale evelinese, il tuo intellettualismo un'isola di senso artico nell'arcipelago aleoutino che riporta all'odiato continente dell'ovvio. Spero di rivederti presto.

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  11. La mail a Floridi è stata davvero un attentato a tutta la scuola italiota:accusavo con semplicità l'evidente disinteresse per la questione dell'infinito in Cantor e l'altrettanto evidente interesse per la dinamica dei giudizi ad ogni test e dei relativi voti da portare a casa.
    La mattina dopo Floridi, senza fare nomi, si riferì alla mia mail e disse di non essere per nulla interessato a commenti del genere. A fine lezione tutti gli studenti che ho elencato hanno detto, dopo essermi dichiarata io la colpevole, che non si possono scrivere cose così personali, che sì, in qualche modo ho ragione, ma bisogna lasciar fuori queste proteste sterili, le quali farei meglio a tenere per me. Tutti spauriti dalla minaccia del prof., magari di essere in futuro più duro nella valutazione dei compiti scritti in classe.
    Non so se ricordi, ma non fa nulla: è tutta colpa di Kraus che mi ha riportato alla coscienza una così bella e temeraria protesta.
    Una protesta che o ci riporterebbe a Gentile oppure ci farebbe, come vorremmo io e Carmelo, chiudere tutte le scuole per lasciare lo studio(leggi desiderio) a chi veramente lo ama.
    Più che intellettualismo è qualcosa come un gesto che richiama alla dignità e al buon gusto: contro ogni onda che finische in un risucchio.
    " Noi passiamo spesso il tempo così,
    senza utilità, quella che piace a voi,
    senza utilità, perchè non serve a noi."
    Un abbraccio a tutti e perdonate l'invadenza.
    Evelina L.C.

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  12. Ci volevano giusto i Marlene a completare il tuo intervento...Grande Evelin.
    Comunque non è che si aveva timore del giudizio di Floridi, dei test etc...almeno non per me e non direttamente. Ti ricordo che io ho scelto di diminuirmi il voto di 3 punti per protesta contro un certo metodo di valutazione e di insegnamento della filosofia.
    Tempi passati, non ci pensiamo.

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  13. «Un sogno?… e che le fa un sogno?… È uno smarrimento dell’anima… il fantasma di un momento…».

    «Non so, dottore: badi… forse è dimenticare, è risolversi! È rifiutare le scleròtiche figurazioni della dialettica, le cose vedute secondo forza…».

    «Secondo forza?… che forza?…».

    «La forza sistematrice del carattere… questa gloriosa lampada a petrolio che ci fuma di dentro,… e fa il filo, e ci fa neri di bugìe, di dentro,… di bugìe meritorie, grasse, bugiardosissime… e ha la buona opinione per sé, per sé sola… Ma sognare è fiume profondo, che precipita a una lontana sorgiva, ripùllula nel mattino di verità».

    Parve incredibile al dottor Higueróa che un uomo di corporatura normale, alta anzi, di condizione socialmente così «elevata», potesse lasciarsi ancorare a delle sciocchezze come quelle. Ma lo sgomento e la tristezza erano troppo evidenti nello sguardo; di persona che teme, che ha un qualcosa che l’occupa, un rimorso; terrore, odio? anche nel sole pieno: nel canto, nella pienezza dolce e distesa della terra.



    Carlo Emilio Gadda, "La cognizione del dolore"

    (un saluto a tutti voi concittadini del Maradagal)

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  14. questa cosa la scrissi in un momento di livore post-telegiornale, ai tempi delle sedie che volavano. C'è anche sul mio blog. La lascio così, perchè del senno di poi sono piene le tombe.

    la caratteristica di questo momento contingente è che emerge un disagio informe, perchè ha trovato un punto contro cui dirigersi. la stessa forza d'attrazione negativa dell'operato della ministra viene forse dal fatto che esso sia stato presentato come "riforma" - un concetto che era stato usato in precedenza per designare solo provvedimenti organici e molto più comprensivi, dotati di un'autorappresentazione che conferiva ad essi delle caratteristiche di lungimiranza, presa in carico sostanziale, approfondimento della prospettiva generale, che invece questa roba non possiede affatto - attraverso una sovrarappresentazione di elementi lontani e ininfluenti nella coscienza dei fruitori dell'istruzione.
    gli studenti non hanno niente in testa per designare la connessione tra "maestro unico" e "fascismo" che i buoni intellettuali di sinistra denunciano. non c'è niente di tutto questo, nella loro protesta.

    il disagio contro una riforma che non lo è, è il disagio contro la mistificazione stessa, contro le parole, contro il vuoto che nasconde la loro forma impropria. non è casuale che i primi ad avvertire un rigurgito nei confronti di questa dinamica siano gli operatori dell'istruzione e gli studenti. gli operatori dell'istruzione avvertono sulla pelle della loro frustrazione l'incapacità di dare sostanza, proprietà comunicativa, alle loro parole. gli studenti sono sovraesposti a quel tipo di svuotamento della comunicazione costruita sulla vendita di modelli, sulle identità che si formano attraverso gli oggetti e i modi di consumo, e ogni frustrazione, ogni scomodità che in questo frangente della vita si prova, loro non trovano niente contro cui dirigerlo (tranne i neofascisti, loro si, a loro glielo hanno spiegato bene chi sono i nemici). e allora vomitano livore contro "il sistema" (loro non userebbero mai questa parola; loro non ce l'hanno proprio la parola), e il sistema è la scuola, e a voler protestare contro la scuola, si coglie. poi, "i giovani non hanno memoria storica", però, essendo la loro protesta indistinta, dichiarano agli intervistatori viscidamente responsabili che chiedono loro : "siete di destra o di sinistra", che la loro protesta non è nè di destra nè di sinistra. dalle immagini si capisce benissimo che quella risposta la danno malvolentieri, e quel tema specifico, che al bravo giornalista (che si erge ad arginare il qualunquismo pericolosamente montante) sembra importantissimo, anzi sembra il più rilevante, a loro interessa solo a mala pena, e solo per ribadire con fastidio: "questa protesta non è nè di destra nè di sinistra".
    e quest'ultima frase deve risultare parecchio urticante ad Anna Finocchiaro, al Compagno Giordano e a tutti i democratici che cercano di farsi interpreti delle richieste del movimento.

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  15. quando gli studenti dei licei dicono "nè di destra nè di sinistra", non stanno certo dicendo che quella manifestazione non ha valori politici, o che loro non abbiano valori politici. solo, e questo sarebbe da capire, gli studenti dei licei non hanno nessun anello di congiunzione tra i valori e la dicotomia destra\sinistra. per loro, destra \sinistra è qualcosa da cui cambiare canale, qualcosa di non incisivo sulla realtà della vita, qualcosa fatto di parole vuote, identità vuote, buone per sfogarsi, per stare in gruppo, per fare branco. se, per un'acuirsi improvviso della sensibilità, hanno pensato che c'è un problema nella scuola, e vorrebbero essere soggetti di un ripensamento, non c'è nessuna struttura, nella loro testa, che connetta questo fulminante senso di giustizia, questa repentina ingiunzione all'azione, e la dicotomia destra\sinistra. sia chiaro, la dicotomia destra\sinistra, i ragazzi dei licei, non l'hanno vista solo in televisione; ma opportunamente replicata sui banchi delle loro classi, tra gruppi differenziati dai modelli di consumo (cocaina vs marihuana, musica emo vs britney spears, vestiti alternativi vs vestiti fighi) che hanno come forza magica di conferimento dell'identità, sovrasignificazione differenziale identificativa, le metadifferenziazione destra\sinistra; e hanno visto le parole vuote e ininfluenti di porta a porta replicate dai capetti dei movimenti studenteschi o giovanili, nelle loro parole vuote e rassicuranti della generale stabilità delle cose, nella loro sempre costante premura ad aizzare gli amici in vista di obiettivi non prioritari, nel misero accomodamento all'opportunità politica pronto a mutarsi nella lingua convulsa dello scontro violento, una volta ogni tanto, per perdere tempo. l'hanno visto, tutto questo. per fortuna (per fortuna per la finocchiaro) non lo sanno ancora, ma quei capetti di destra e sinistra che rompono loro i coglioni in classe diventeranno segretari giovanili, delegati, candidati, sistemati. per fortuna (sempre per la fortuna di veltroni) non lo sanno, ma quel disagio insopportabile che provano a scuola non ha solo la gelmini colpevole, ma ha, tra i colpevoli, anche cinquantanni di opportunismoPCI, e forse gli unici illuminanti non glieli fa leggere nessuno. (se leggessero don milani, o ivan illich, se potessero).
    sia il PD sia il PDL hanno interesse nella presenza dei fascisti, nelle tensioni che suscita presso i compagni il loro stare lì a minacciare con la loro visibilità virile e organizzata un movimento in cui gli studenti dicono "nè di destra nè di sinistra". quello che spaventa PDPDL di questo movimento, non è che possa mettere in seria difficoltà la riforma gelmini o che possa far calare l'apprezzamento del governo (che gliene fotte?) ma che ci sia un movimento di massa che non trova alcuna forma di mediazione nella rappresentanza politica; un movimento delegittimante. ma la delegittimazione non è della classe politica, della "casta", come dice grillo. piuttosto è la delegittimazione del linguaggio, della lontananza, dell'espropriazione. la dinamica degli opposti estremismi è quella che la comunicazione di massa veicola attraverso la comunicazione degli scontri. entrambi i PD hanno interesse. d'alema pensa: dovranno rientrare nel nostro alveo per stare al sicuro. cicchitto rimbomba sornione: facinorosi.
    questo è interessante solo come giusto rigurgito di violenza. il disagio nella scuola non c'è bisogno neanche di spiegarlo, tra noi. sarebbe da definire con chiarezza, ma credo che non ce ne sia il bisogno qui. certo dobbiamo parlarne. anzi, forse non dobbiamo parlare d'altro che di questo. ma è l'iperrappresentazione mistificante che ha fatto scoppiare questo rigurgito. forse c'è un punto oltre il quale le cose non reggono. che succede ora? (forse no: non c'è un punto oltre il quale le cose non reggono: è il naturale contromovimento della disciplina, non è niente che il solito, normale stato di eccezione)

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  16. L'Onda?
    Pivelli.
    Il peggior movimento studentesco della storia d'Italia. Anzi, uno pseudomovimento.
    Contro la Gelmini fanno pappa&ciccia con rettori e professori, vale a dire il marcio dell'università (e stavano però con il meritocratico Mussi non proprio tanto tempo fa)
    Mi criticano Gheddafi ma non sanno nulla di lui.

    Onda fatta di fitoplanton figlio dei tempi postmoderni.

    A lavorare!

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